Cadde. Inciampò in una buca su un marciapiedi, e se non avesse avuto la prontezza di riflessi di piantare la sua mano al suolo per attutire il colpo avrebbe anche potuto farsi male. Qualcuno poco distante da lui rideva. A nessuno venne in mente di dargli una mano a rialzarsi. Lui era lì steso, immobile, con qualche piccolo graffio, leggere escoriazioni sul palmo della mano. Sentiva bruciore. Era molto stanco e decise di restare lì dov'era, e non fare più nulla. Quasi aveva sonno. Chiuse gli occhi. Si addormentò.
Aprì gli occhi. Faceva caldo. Era sempre steso. Nessuno gli si era avvicinato. Il sangue era diventato di colore più scuro. Pensava che stesse guarendo. Poi si riaddormentò.
Si svegliò tutto bagnato, pioveva, e si accorse pure di essersi pisciato addosso. Era notte. Per strada non c'era un'anima che non fosse la sua. Un'autovettura di tanto in tanto. Doveva alzarsi. Doveva reagire. Doveva, non poteva certo restare lì, anche se poi perché no, avrebbe potuto anche restare lì. Non sapeva cosa fare. Era indeciso. Poi si decise.
Si alzò. I suoi arti erano indolenziti. Aveva un po' fame, ma avrebbe potuto anche aspettare, rimandare, tornare a casa e prepararsi un brodo caldo. A casa. La casa. Dove era la sua casa? Non lo ricordava, mentre cominciò a camminare senza direzione, lentamente, per le strade notturne della città. Era come se visitasse quei luoghi per la prima volta. Eppure quei luoghi gli ricordavano qualcosa, gli apparivano familiari. Non aveva idea di dove era diretto, mentre cercava di ricostruire i fatti. Ricordava la caduta, il primo risveglio col caldo, e poi di nuovo, tutto bagnato e pisciato, poi nulla. Dove era diretto quando è caduto? Da dove veniva? Il vuoto assoluto. E camminava.
Camminava, camminava. Poi trovo una fontana, e bevve dell'acqua, colorata, mentre il cielo cominciava a schiarire. Poi andò ancora un po', e si ritrovò in una piazza. Sebbene non ricordasse nulla di sé e della sua vita, si sentiva bene, sereno, libero. Sorrise a questo pensiero buffo. Poi si fermò davanti un bar, seduto su una panchina. Era mattina presto, le persone si affacciavano al nuovo giorno con lo sguardo assonnato e incazzato. Il lavoro ammazza. E lui? Chiuse gli occhi cercando di ricordare i suoi obblighi e doveri, ma nulla.
Quando riaprì gli occhi, vide fuori da un bar un uomo in giacca e cravatta, sui cinquant'anni portati bene, dall'espressione sorridente e soddisfatta, che buttava in un cestino un mezzo cornetto. Istintivamente si alzò per andarlo a raccogliere. Diede un morso. Era buonissimo. Non sapeva più da quanto tempo non mangiava qualcosa. Era come se mangiasse per la prima volta. Assaporò ogni boccone masticando bene e a lungo. Era una vita meravigliosa. Non si era mai sentito così bene, e quasi, penso tra sé, era contento di non sapere nulla di nulla. Guardava le persone per strada e gli sembravano tutti matti. Tutto di corsa, la fretta domina i movimenti, le azioni, i pensieri. Decise che era meglio camminare.
Faceva sempre più caldo. Bevve ad una fontanella. In lontananza vide l'entrata di un parco, e si diresse verso di là. Arrivò al parco. Entrò. Trovò un bel posto, sotto un albero, e si addormentò.
Sognò di cavalieri che combattevano per la dama, o per la loro terra. Sognò di essere un cavaliere. Poi al risveglio tutto era come prima. Senza memoria. Senza passato. Al parco giovani che suonavano e bevevano e fumavano. Anziani coi bastoni. Persone che correvano, qualcuno col cane a spasso, mamme coi bambini...e sua madre? Aveva mai avuto una madre, lui? Ricordava quella sensazione di affetto materno, ma non riusciva ad accostarla a nessun volto ben identificato. Una morsa atroce gli si strinse in petto. Sentiva gli occhi riempirsi di lacrime, avrebbe voluto piangere, ma resto lì, appoggiato all'albero, immobile, impotente, impassibilmente perduto. Poteva essere quasi mezzogiorno. Si riaddormentò. Voleva solo dormire, era l'unica soluzione possibile.
Si svegliò in un letto, in una stanza in disordine e nemmeno molto pulita. Al suo fianco c'era una ragazza che dormiva. Aveva l'espressione irrequieta, agitata, stava facendo degli incubi, probabilmente. Non poté che accarezzarla, darle dei baci sulle guance, per rassicurarla. Una donna che soffre commuove anche l'uomo più arido.
Lei si svegliò. Lo abbracciò forte.
“Ho sognato che mi tradivi...”, gli disse.
“Io non ricordo...”, disse lui.
“Cosa?”.
“Chi sono io, chi sei tu, come mai mi trovo qui...”.
“Ma che stai dicendo? Non scherzare, smettila, fai il serio!”.
“Non sto giocando, ero in un parco, sotto un albero, vedevo le mamme coi loro bambini...ma tu conosci mia madre?”.
“Ma che razza di domande mi fai? Conosco tua madre? Ma stai dando di matto?”.
“Non so...da quando sono caduto, non ricordo più nulla...ma io abito qui?”.
“Oddio, ma ti senti bene? Dove dovresti abitare?”.
“Non lo so, mi sento confuso...che ho fatto ieri sera? Siamo stati insieme?”.
“Ma che diavolo ti è successo?”.
“Io non so più chi sono...ricordo che ieri, o ieri l'altro, non lo so, mi sento molto confuso. Sono caduto. Mi sono addormentato. Il caldo...ho dormito sul marciapiedi...poi la pioggia. Ho camminato a lungo. La colazione raccolta nell'immondizia. Poi il parco. E il sogno in cui ero un cavaliere...non capisco, mi sembra di impazzire...”.
“Va tutto bene?”.
“Parlami di me”.
“Cosa vuoi che ti dica?”
“Non so, raccontami qualcosa. Mia madre. Te, noi. Stiamo insieme? Quando ci siamo conosciuti?”.
“Ma vuoi che andiamo al pronto soccorso?”.
“Che giorno è oggi?”.
“È domenica...sennò mica ci svegliavamo alle dieci del mattino...”.
“Ma io che faccio, in genere?”.
Lei cominciò a piangere disperata. Lo abbracciava, lo riempiva di baci, gli sussurrava negli orecchi tutto l'amore che provava per lui.
Lui disse, “Ho paura”.
lunedì 23 giugno 2008
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